Cosa fare e non fare per imparare l’ascolto attivo
L’ascolto attivo è basato su tecniche da imparare e su sensibilità personali
L’ascolto attivo è basato su tecniche da imparare e su sensibilità personali
L’ascolto passivo è un’operazione scontata per chiunque possieda il senso dell’udito .
Ma un conto è un ascolto distratto e automatico, un altro è l’ascolto profondo di un racconto di vita trasmesso da persone che ci stanno aprendo il cuore.
Occorre non solamente ascoltare, ma soprattutto saper ascoltare. La modalità utilizzata da chi ascolta in modo professionale si chiama “ascolto attivo” e si basa su conoscenze che devono essere prima apprese e poi esercitate con regolarità prima di diventare competenze.
In questo articolo ti spieghiamo alcuni segreti dell’ascolto attivo e ti anticipiamo che sono alla base di ogni relazione d’aiuto, dal Counseling alla Mediazione familiare fino a giungere alla Psicoterapia.
Ecco qualche buon consiglio per iniziare a cimentarsi e per evitare errori grossolani.
“Ecco quel che abbiamo trovato, riflettendo. Così è. Tu, ascolta, e fanne tesoro”. Giobbe 5,27
L’ascolto attivo non è innato, occorre apprenderlo.
Poggia su una serie di tecniche unite a sensibilità personali, ma non c’è dubbio che senza una preventiva conoscenza delle regole di base unite ad un costante allenamento questa modalità di comunicazione risulta complessa da praticare. Ecco quindi qualche indicazione utile:
Consiste nel riflettere come uno specchio quello che la persona sta vivendo dal punto di vista emotivo ed entrare in rapporto con lei sintonizzandosi sulle sue modalità espressive.
Esempio – Se la persona dice che sta soffrendo molto per la morte del marito si può dire: “È molto difficile per lei vivere senza il marito…”
Si parte dall’individuazione delle parole usate più frequentemente nella narrazione per poi riproporle all’interlocutore in modo da sviluppare una maggior sintonia.
Esempio: Se la persona dice o fa capire che sta male perché si sente sola e abbandonata, si può dire: “Certo, lei si sente sola e abbandonata…”
Consiste nel riproporre con parole diverse quanto detto dall’interlocutore per chiedere se si è compreso correttamente quello che ha espresso. Si tratta di parafrasare o sintetizzare il discorso di chi si sta ascoltando.
Può essere utile, durante la riformulazione, proporre anche i sentimenti e gli stati d’animo legati al contenuto del discorso.
Esempio – Se la persona dice che sta soffrendo molto per la morte del marito si può dire: “Ho compreso che per lei è davvero molto difficile vivere senza suo marito”
La tecnica dell’ascolto attivo prevede di riassumere brevemente il discorso della persona incontrata riproponendo le parti più significative e cariche di emozioni. Il riassunto serve per “fare il punto” della situazione, per verificare se si è capito ciò che è stato narrato e anche per portare il colloquio verso la chiusura.
Esempio: “Se ho capito bene, la sua vita è molto difficile da quando è morto suo marito.”
“Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta”. Efesini 4,29
Nonostante si sia animati da buone intenzioni, nell’ascolto attivo si rischia di commettere errori o leggerezze che possono vanificare gli sforzi precedenti. Alcune frasi sono assolutamente da evitare.
Eccone alcune molto comuni:
È meglio evitare di proporsi come salvatori elargendo consigli e soluzioni anche quando gli interlocutori spesso insistono per avere risposte adeguate alle loro domande.
Piuttosto che offrire risposte è meglio utilizzare altri strumenti, ma in alcuni casi non si riesce proprio a non rispondere. Però esistono risposte che dovrebbero essere accuratamente evitate.
Già Carl Rogers, psicologo statunitense considerato il “padre” dell’empatia, ha individuato quattro tipi di risposte da evitare attentamente:
Sono le risposte che tendono a semplificare i problemi che vengono raccontati e che indirettamente cercano di accreditare chi ascolta come colui che ha la soluzione che, in pochi minuti, farà scomparire tutte le difficoltà. Ognuno considera la propria storia unica e così dev’essere trattata.
Non si può affermare di aver visto tanti casi simili perché è la manifestazione di una forte carenza nella capacità empatica che alimenta nell’interlocutore il dubbio di non poter essere capito.
Rappresentano tutte le risposte da “esperto”, quelle che fanno uso di un linguaggio tecnico (medico, teologico, psicologico, filosofico, antropologico, economico, sociologico…) difficile da comprendere. Sono due i grandi svantaggi di questa abitudine.
Prima di tutto si annulla qualsiasi possibilità di instaurare un rapporto di fiducia in quanto chi parla non si sente accettato e capito ma anzi avverte il disagio di trovarsi in una relazione in cui occupa la parte subordinata.
Secondariamente l’uso di un linguaggio poco comprensibile rende difficile poter cogliere prospettive diverse dalla propria.
Costituiscono quelle risposte tese a incolpare chi viene ascoltato per un suo comportamento che travalica i limiti della moralità dell’ascoltatore.
Se una persona si comporta in modo sbagliato secondo i canoni di chi sta ascoltando non può essere redarguita e additata come “peccatrice” ma può essere invece aiutata a rielaborare il comportamento “moralmente riprovevole” allargando la narrazione attorno ad esso e ispirando riflessioni con frasi come “che cos’altro avresti potuto fare in quella situazione?”
Sono risposte in cui chi ascolta offre una spiegazione alle emozioni, sentimenti e comportamenti del soggetto che ha di fronte basandosi sulla propria intuizione. Queste intuizioni dovrebbero rimanere tali e non essere trasmesse al soggetto. Chi siamo per interpretare le emozioni dell’altro?
L’ascolto attivo fa parte di una competenza indispensabile durante i colloqui di relazione d’aiuto o durante le consulenze relazionali.
Nel nostro Counseling Essenziale® oltre a queste competenze di base si aggiungono conoscenze di tipo antropologico, filosofico e spiritale.
L’obiettivo è un approccio che accorda gli obiettivi con i valori, fa emergere i bisogni profondi, guarda al benessere stabile e persegue la ridefinizione degli obiettivi di vita.
È psicologo, counselor professionista e mediatore familiare. Fa parte del direttivo dell’Associazione di Psicologia Cattolica e ha co-fondato l’associazione non profit Famiglia della Luce con Camilla.
Per molti anni è stato giornalista e formatore nel settore eno-agro-alimentare, ha collaborato con numerose testate e diretto un quotidiano online. Ha inoltre scritto libri di enogastronomia, antropologia culturale e psicologia.
Oggi si dedica alla relazione d’aiuto con l’accompagnamento di singoli e coppie unito alla formazione relazionale dei gruppi nelle imprese profit e non profit.
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