Empatia e curiosità per un buon counseling
Nel counseling è necessaria l’empatia, ma occorre anche saper guardare oltre le apparenze…
Nel counseling è necessaria l’empatia, ma occorre anche saper guardare oltre le apparenze…
Nel counseling è necessario esercitare l’empatia, cioè provare ad “entrare nei panni dell’altro” per capire cosa sta provando senza però cadere nella simpatia, cioè nella simmetria e nella collusione.
Per evitare questi ultimi pericoli è necessario per il counselor saper mantenere la giusta distanza psicologica, non lasciarsi coinvolgere oltre misura, per questo è utile, unitamente all’empatia, coltivare anche un po’ di sana diffidenza. Cioè saper guardare oltre le apparenze.
Per essere empatici occorre volerlo
Per esercitare correttamente l’empatia bisogna volerlo, utilizzando la considerazione positiva e il non giudizio nei confronti del cliente e coltivando l’autenticità verso sé stessi.
L’empatia, se usata bene, è un elemento a disposizione del counselor per facilitare lo scambio comunicativo prima, durante e dopo il colloquio, ed è sperimentata da tutti i soggetti coinvolti: la si può rimuovere, negare, ma non è possibile evitarla.
Se ci si nega la possibilità di essere empatici si diventa freddi, distaccati e rigidi e tale atteggiamento non permette di instaurare una reazione produttiva e rispettosa.
Empatia è entrare penetrare un po’ nell’altro…
Fondamentale all’interno del colloquio è la capacità di saper ascoltare ed essere ascoltati, cioè di condurre un ascolto attivo, e ciò richiede un esercizio empatico per comprendere e valutare i messaggi, le idee e i punti di vista dell’altro.
Un ascolto empatico sa rimanere fedele a ciò che ha sentito per andare avanti nel colloquio ed è un atteggiamento fondamentale sia per l’ascolto cognitivo che per quello emotivo.
L’empatia durante le fasi del colloquio
Abbiamo osservato che nel counseling è necessario esercitare l’empatia durante tutte le fasi del colloquio.
Nel Counseling Essenziale® ideato dagli esperti di Ascolti di Vita l’empatia gioca un ruolo fondamentale.
È il momento del primo contatto per chiedere un appuntamento. Generalmente si svolge telefonicamente, e se è condotto empaticamente si instaura sin da subito un clima di rassicurazione e fiducia.
Il primo appuntamento è un momento molto delicato, dove le ansie eccessive o le aspettative immaginifiche del soggetto insite nella sua domanda di aiuto possono essere accolte e rielaborate empaticamente, partendo da dove si trova la persona nel qui e ora.
Un’accoglienza empatica, calda ma professionale, è fonte di rassicurazione, nell’analisi della sua domanda un atteggiamento empatico consente di approfondire le motivazioni del cliente e iniziare a valutare le sue risorse. Questo rende più facile definire e modulare in modo personalizzato il setting, cioè la cornice istituzionale all’interno della quale si svolge il colloquio.
Durante i colloqui di counseling emergono i problemi, si sceglie un obiettivo e si pianificano delle strategie di lavoro e le successive azioni.
L’approccio empatico durante il colloquio si nutre di un ascolto attento del verbale (le parole) e del para-verbale (le inflessioni emotive della voce) e di un’osservazione profonda del non-verbale (la postura e le espressioni facciali).
Il counselor riesce a comunicare empatia al cliente:
In questa fase avviene la verifica del successo o dell’insuccesso delle azioni strategiche intraprese: è il momento nel quale il counselor condivide con il cliente le sue riflessioni e sollecita l’interazione.
Se durante il colloquio è stata sviluppata empatia e alleanza diventa consequenziale e spontaneo fornire alcune informazioni chiare ed adeguate alle esigenze e al livello di istruzione del soggetto.
Anche il resoconto finale beneficia indirettamente dell’empatia esercitata durante le fasi precedenti. Infatti è utile che vengano inserite non solo le narrazioni del cliente, ma anche le narrazioni del counselor frutto delle proprie elaborazioni correlate da un’analisi delle proprie emozioni e/o frustrazioni.
L’empatia può essere unita ad un po’ di sana diffidenza
L’empatia unita ad un po’ di sana diffidenza
Abbiamo visto che nel Counseling è necessario esercitare l’empatia assieme alla considerazione positiva e al non giudizio, ma tali atteggiamenti non possono essere affiancati dalla fiducia totale in ciò che rimanda il cliente. Occorre curiosità e abilità per saper leggere tra le righe e valutare le incongruenze.
L’atteggiamento della “sana diffidenza”, che potremmo meglio definire “sana curiosità” consente allora di ridurre alcuni importanti ostacoli nella conduzione del colloquio.
Applicare il criterio della sana curiosità evita pericolose personalizzazioni, collusioni o seduzioni che non permettono al counselor di essere un buon osservatore e che possono generare pericolose tensioni.
Utilizzando un po’ di sana diffidenza gli atteggiamenti “cattivi” o “eccessivamente buoni” del cliente vengono risignificati e ricollocati nella giusta prospettiva, cioè come segnali della sua sofferenza che per il counselor è utile cogliere ed accogliere.
Nel nostro Counseling Essenziale® si pone grande attenzione all’empatia senza scadere nella simpatia, si viene aiutati a ritrovare sé stessi, a vivere i valori, a valorizzare i talenti, a raggiungere un benessere duraturo.
È psicologo, counselor professionista e mediatore familiare. Fa parte del direttivo dell’Associazione di Psicologia Cattolica e ha co-fondato l’associazione non profit Famiglia della Luce con Camilla.
Per molti anni è stato giornalista e formatore nel settore eno-agro-alimentare, ha collaborato con numerose testate e diretto un quotidiano online. Ha inoltre scritto libri di enogastronomia, antropologia culturale e psicologia.
Oggi si dedica alla relazione d’aiuto con l’accompagnamento di singoli e coppie unito alla formazione relazionale dei gruppi nelle imprese profit e non profit.
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